Me la dai una possibilità?
La scelta di questo titolo racchiude un pensiero, o meglio, quello che io ho immaginato abbia provato ad esprimere il mio alunno quando ha iniziato spontaneamente a sfogliare qualche fumetto e ad incuriosirsi osservandone le illustrazioni, pagina dopo pagina.
Ora, detto così non sembrerebbe nulla di straordinario, se non fosse che questo ragazzo ha tredici anni, un significativo disturbo cognitivo che gli crea frequenti disprassie e comportamenti problema, una sordità profonda che lo accompagna dalla nascita e che il suo impianto cocleare non è stato in grado di alleggerire.
Comprendere davvero quali possano essere attività piacevoli per lui, orientare il suo sguardo verso interessi che vadano oltre quello che ha sempre svolto in modo abitudinario e schematico, sembra essere una vera e propria sfida.
Anzi, sembrava.
Un giorno ho deciso che a me della sua diagnosi, della sua sordità, delle sue dis dis dis sarebbe interessato soltanto nell’ottica di una ricerca sempre più approfondita di strumenti e canali di comunicazione utili a portarlo oltre terreni conosciuti, con coraggio, motivazione e stima di sé.
In una domanda: Io chi sono per dire che tu non ce la puoi fare?
Inizia così quello che io chiamo progetto di educazione alla lettura e che lui definisce con tre segni in lingua dei segni “Adesso Lavoro Libro”.
Gioele (lo chiameremo così) cammina per strada, osserva i cartelli, prova a decifrarne le scritte attraverso la dattilologia.
Oltre a questo, noto che ha una grandissima memoria fotografica: ricorda perfettamente la strada, si orienta facilmente verso i suoi punti di interesse, ricordando scritte di cartelli e colori ai quali attribuisce un significato.
Provo a proporgli una serie di lettere e gli chiedo, attraverso piccoli giochi, quale sia la parola che esse compongono.
Il lavoro non ha nessun effetto: è difficile? È troppo poco entusiasmante? La risposta è che è poco interessante e che a lui io possa chiedere qualcosa di meglio e con modalità molto più creative e coinvolgenti, altrimenti probabilmente a leggere avrebbe già imparato.
Abbandono l’idea della lettera e decido che coinvolgerò anche la famiglia nella ricerca delle basi di questo processo di apprendimento.
Io lo conosco poco e ho bisogno di sapere quali siano i suoi gusti, le passioni, le attività preferite: bene, nella difficoltà di trovare un punto di partenza, abbiamo una certezza: Giole ama cucinare e mangia di tutto, comprese frutta e verdura che adora.
Partiremo proprio da qui: gli mostrerò parole di frutta e verdura nella loro forma globale.
Vorrei però creare qualcosa che faccia nascere in lui la curiosità, vorrei che non si annoiasse o provasse frustrazione nel momento in cui dovesse sopraggiungere la difficoltà e soprattutto che si divertisse, perché non riesco ad immaginare un atto educativo che sia trasmesso senza creare piacere.
E quale canale è in grado di attirare e mantenere l’attenzione di un ragazzino oggi?
Quello multimediale.
Inizia così la produzione di una serie di video, nei quali le parole vengono presentate in forma teatrale comica, accompagnate dalla mimica gestuale e rappresentate graficamente.
Creo video della durata massima di 3 minuti e propongo la medesima parola diverse volte in modalità differenti (aggiungo così l’elemento sorpresa, la meraviglia, la suspence) che creano inevitabilmente interesse e concentrazione.
Risultato? In pochi mesi Gioele conosce circa 30 parole, che sa usare e riconoscere anche al di fuori del contesto video.
Conquistata la sua attenzione con una modalità forse poco canonica di insegnare, proseguiamo sull’onda dell’entusiasmo che ne è conseguito e procediamo con la suddivisione in sillabe, partendo prima da parole bisillabe piane, prese da quelle appena apprese.
La modalità è sempre la stessa: video, oggetti concreti, rappresentazione grafica, sketch teatrali, scrittura.
Le sillabe però un po’ confondono. Mi fermo e penso.
Riesce poco ad interiorizzare la scomposizione e la creazione di altre parole, o ha forse bisogno di stimoli nuovi e strumenti diversi per poterci arrivare?
Spesso noi educatori ci interroghiamo poco sul nostro modo di operare, ma ci sbagliamo, perché in questo modo poniamo dei limiti altri alla persona che stiamo educando e che ci sta chiedendo, a suo modo, di trovare delle strategie valide, di non fermarci al primo insuccesso, di cercare delle strade, che magari qualcuna funziona e non può restare intentata.
Questa consapevolezza mi porta al Metodo MA.VI.®, conosciuto durante una summer school frequentata in modalità online durante la pandemia e che, in contrasto con il periodo di chiusura che stavamo vivendo, ha permesso al mio cervello di espandersi con nuove conoscenze e di comprendere il valore evolutivo degli apprendimenti, quando determinati input stimolano le sinapsi di alcune aree cerebrali.
Ebbene si, ora inizia l’avventura.
Era giunto il momento di provare a stimolare gli occhi e le connessioni neuronali di Gioele proponendo un breve testo accompagnato da illustrazioni, così da permettergli di ricercare da solo alcune parole conosciute e trasmettergli la bellezza di poter vedere da solo come ognuna sia collegata alle altre e come tutte siano legate in una danza di fili colorati che danno senso al tutto.
Che bellezza allora accorgersi che il bambino marcato con i colori nella prima riga è sempre lo stesso della terza riga che però adesso rincorre un topo che, a sua volta, ruba il cappello del bambino, sempre quello della prima e della terza riga, e poi scappa…ma chi scappa? Sempre il topo della terza riga!
E ancora. Facciamo attenzione alla “O” di bambinO e alla “O” di topO, sottolineamole in rosso e osserviamo cosa c’è davanti: l’articolo determinativo “IL” per me, “I ” ed “L” per lui.
Quindi “IL” con la riga rossa e “O” con la riga rossa concordano in genere e numero.
E ancora.
Cosa fa il bambino nella prima riga e il topo nella seconda? Proviamo a creare una sequenza di illustrazioni che mettano in ordine la storia così da poterla raccontare nuovamente.
Procediamo poi con altre storie, altri testi, parole e immagini diverse. Poi riprendiamo i testi già affrontati e torniamo su termini affrontati in precedenza e che dovrebbero essere più che noti.
Invece no.
Non riconosce più parole come CASA, CANE, MELA…. già viste e riviste nei lavori precedenti.
Mi chiedo se sto sbagliando qualcosa poi provo a porre domande.
Il bambino torna dove? Chi mangia la mela? Il cane mangia cosa?
Risposte: il bambino torna a CASA (trova nel testo la parola CASA); il CANE mangia la mela (trova nel testo la parola CANE); il cane mangia la MELA (trova nel testo la parola MELA).
Sono stupita. Siamo tornati indietro e abbiamo fatto un salto in avanti!
Ecco dove siamo arrivati fino ad ora e da dove il mio, anzi nostro lavoro sta proseguendo, a piccoli passi ma sempre con l’emozione di raggiungere altri traguardi.
Accadono tante cose in questo processo; avvengono innumerevoli cambiamenti ed emergono punti di vista diversi. L’apprendimento può non essere sempre costante e lineare, ciò che viene colto velocemente può anche in altrettanto modo sgretolarsi, perché, si sa, la mente umana è infinita e per diversi aspetti e ragioni si rivela indomabile e sconosciuta.
Queste poche righe, che ho volutamente combinato sotto forma di racconto, rappresentano l’esperienza diretta di come non esistano limiti a quel che si può inventare e costruire sopra una metodologia di apprendimento che ammette variazioni di strumenti perché contempla la mutevolezza dell’evoluzione.
La conoscenza di ciò che sta alla base del metodo MA.VI.® mi sta permettendo di “giocare” con le innumerevoli possibilità di cui ho parlato, senza perdere di vista le motivazioni che mi stanno portando a fare alcune scelte e lasciarne indietro delle altre, anche se nella teoria rappresenterebbero lo step precedente.
Io non lo so dove questo lavoro mi porterà e quali competenze potrà acquisire Gioele ma se ripenso al giorno in cui abbiamo iniziato e lo guardo adesso posso semplicemente concludere con una sola parola: MeravigliA. Anzi LA MeravigliA.
Cecilia Banfi, Esperta MA.VI.®